Non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire. Non posso, infatti, sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla “routine” di calendario. Mi lusinga, addirittura, l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa l’idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Maria, la “serva del Signore” vi faccia comprendere davvero cosa vuol dire la parola servizio. Occorre diventare servi del popolo, non suoi cortigiani. Servi desiderosi della crescita del popolo, non affamati del suo consenso. Servi solidali con la storia del popolo, ma non con la sua cronaca nera. Servi che camminano col popolo, ma col compito di sveltirne la lentezza del passo ed imprimere alla sua itineranza i ritmi di un’accelerazione carica di attese. Servi che vivono fino in fondo l’incarnazione del popolo, ma capaci di trascendenza per potergli additare, come Mosé, i bagliori del Sinai o gli orizzonti agognati della terra promessa. Servi che amano il passato e il presente del loro popolo, ma capaci di rischiare l’impopolarità per non voler rinunciare alla missione crocifiggente della profezia. Servi attenti a non esasperare il popolo con manovre demagogiche, ma anche abbastanza coraggiosi per smascherare i suoi tiranni, per affrontare i suoi oppressori, per contestare i suoi novelli faraoni.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunziano la pace portino la guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l’aggravante del vostro complice silenzio, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.
I poveri cha accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce”, dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge” e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l’unico modo per morire ricchi.
Quei pastori vi indichino la strada per amare i poveri, cercarli, inseguirli, snidarli dai loro nascondigli dove si sono nascosti per pudore; vi aiutino a farne l’inventario così come facciamo l’inventario degli oggetti preziosi delle nostre chiese. Vi stimolino a scusarli, perdonarli, a chiudere un occhio sulla loro mancanza di educazione, ad aiutarli a crescere, con stile paziente, senza infastidirvi, senza trovare scuse, forse anche nel loro peccato, al vostro ingiustificabile disimpegno.
Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
Tonino Bello, vescovo
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